mercoledì, dicembre 21, 2011

SONO ANDATO . . .


Sono andato
alla fine della terra
sono andato
alla fine delle acque,
sono andato
alla fine del cielo
sono andato
alla fine delle montagne:
non ho trovato nessuno
che non fosse mio amico.


(Navajo)

lunedì, dicembre 19, 2011

SOS EMERGENCY


Aiutaci a non smettere

Cari amici

SOS: a tutti coloro che apprezzano il lavoro e l’esistenza di EMERGENCY, a chi crede nell’eguaglianza in dignità e diritti di tutti gli esseri umani.

Il lavoro di EMERGENCY continua ad aumentare, perché sono in crescita costante le vittime della guerra e della povertà, e curarle è insieme il nostro dovere e il nostro ruolo.

In questo momento, le nostre risorse economiche non ci consentono più di farvi fronte. Abbiamo bisogno di molti soldi per tenere aperti i nostri ospedali, i centri chirurgici per le vittime di guerra, i centri ostetrici, pediatrici, di primo soccorso, di riabilitazione. E per mantenere in vita anche i poliambulatori specialistici gratuiti che EMERGENCY ha aperto in Italia negli ultimi anni.

Vi chiediamo aiuto affinché EMERGENCY, anche nella difficile situazione di oggi, possa continuare a esistere, perché non venga interrotto uno straordinario “esperimento umano” di cura e di cultura.

SOS EMERGENCY. Grazie di raccoglierlo.

Gino Strada
Fondatore di EMERGENCY


FAI UNA DONAZIONE ONLINE

oppure

CHIAMA IL NUMERO VERDE 800.394.394


domenica, dicembre 11, 2011

SENSAZIONE


I miei pensieri sono qualcosa che la mia anima teme.
Fremo per la mia allegria.
A volte mi sento invadere da
una vaga, fredda, triste, implacabile
quasi-concupiscente spiritualità.
Mi fa tutt'uno con l'erba.
La mia vita sottrae colore a tutti i fiori.
La brezza che sembra restia a passare
scrolla dalle mie ore rossi petali
e il mio cuore arde senza pioggia.
Poi Dio diventa un mio vizio
e i divini sentimenti un abbraccio
che annega i miei sensi nel suo vino
e non lascia contorni nei miei modi
di vedere Dio fiorire, crescere e splendere.
I miei pensieri e sentimenti si confondono e formano
una vaga e tiepida anima-unità.
Come il mare che prevede una tempesta,
un pigro dolore e un'inquietudine fanno di me
il mormorio di un incalzante stormo.
I miei inariditi pensieri si mescolano e occupano
le loro interpresenze, e usurpano
gli uni il posto degli altri. Non distinguo
nulla in me tranne l'impossibile
amalgama delle molte cose che sono.
Sono un bevitore dei miei pensieri
l'essenza dei miei sentimenti inonda la mia anima...
La mia volontà vi si impregna.
Poi la vita ferma un sogno e fa sfiorire
la bellezza nel dolore dei miei versi.



(Fernando Pessoa)

sabato, dicembre 03, 2011

Perdersi nel labirinto




E' la città sotterranea di Santarcangelo di Romagna, un mondo di grotte, nicchie e stanze, ricco di fascino e di mistero. Ma attenzione a non perdervi!


Santarcangelo di Romagna supera di poco i 20mila abitanti, si trova della provincia di Rimini, al confine con la provincia di Forlì-Cesena. Si estende sul Colle Giove ed è bagnata da due fiumi, l'Uso e il Marecchia. Dal XIII sec. il comune fu dominato dalla famiglia dei Conti Balacchi, per essere poi spodestata dai Malatesta durante i primi decenni del XV sec.

Questo piccolo comune nasconde una seconda città: essa si trova sottoterra ed è costituita da un labirinto di corridoi, stanze e nicchie, la cui origine è a tutt’oggi misteriosa. Dall’interno del Colle si diramano 153 ipogei artificiali, distribuiti su 3 livelli collegati tra loro tramite pozzi e scale, a cui si accede generalmente tramite case private.

Sono state censite due tipologie differenti: la prima consiste in corridoi di 1,20 metri di larghezza e 2 metri di altezza, con nicchie laterali a “pettine”, mentre la seconda racchiude stanze rettangolari o circolari e colonne a volta o a cupola. Sul loro utilizzo esistono varie ipotesi: secondo la prima queste sarebbero state impiegate come cantina per la conservazione di vini ed alimenti, ma secondo altre sarebbe stato riduttivo, per complessità e perfezione, un uso così limitato. Ed una tale perfezione architettonica, in forme e materiali, comproverebbe la teoria del loro utilizzo come luogo di culto.

Dopotutto, sempre in Italia, è accaduto in altri casi che monaci eremiti si siano rifugiati in clausura in grotte naturali o ipogei. Ed ecco che si suppone un uso delle gallerie come mitrei, templi dedicati al Dio Mitra, ideali per percorsi iniziatici e per rituali antichi di cui sono stati tramandati miti e leggende. O forse sono stat tenuti qui culti segreti massonici, teoria che spiegherebbe le nicchie spesso in numero dispari. E le considerazion in tal senso si sprecano: la grotta simbolo dell’utero materno, le gallerie che conducono alla luce come alla vita durante il parto, il colle Giove come pancione della Terra. Ed il suo labirinto rappresenta gli enigmi della vita, alla ricerca della conoscenza.

Le grotte più misteriose sono la Grotta Contradina, la Grotta Felici e la misteriosa Grotta delle Monache. L’unico ipogeo visitabile però è quello della Grotta Contradina, prenotando una visita tramite l’ufficio IAT, Pro Loco Santarcangelo. Per un viaggio nel passato e nei più affascinanti misteri d’Italia.




(da http://viaggi.libero.it/week-end)

mercoledì, novembre 30, 2011

Labirinto verde da record


Tre chilometri di gallerie di bambù, alte 5 metri, sono già pronte. Manca ancora qualche "piccolo" dettaglio per l'inaugurazione dello straordinario labirinto.


Un labirinto in gallerie di bambù alte 5 metri e lunghe 3 chilometri. Ed un totale di sessantamila bambù impiantati. Mancano ancora diversi mesi al completamento, ma dall’alto la sua visione è già chiara. E promette lunghe passeggiate al suo interno. Sino allo sfinimento. È il labirinto più grande del mondo ed è in fase di realizzazione per iniziativa di Franco Maria Ricci. Si trova nella sua tenuta di campagna a Masone, nei pressi di Fontanellato, in provincia di Parma.

L’editore, collezionista d’arte e designer parmigiano, a 74 anni, ha dato vita alla sua grande passione, quella che lo accompagnava fin dall'infanzia. Ma l'idea di costruirne uno gli balenò quando, durante la sua visita al Kunsthistorisches Museum di Vienna e al Museo del Bardo di Tunisi, due mosaici di epoca romana, ovviamente raffiguranti due labirinti, lo colpirono. Sino a conquistarlo per sempre.

I lavori sono iniziati nel 2004, anno in cui Franco Maria Ricci vendette la sua casa editrice FMR per dedicarsi in toto al progetto della struttura dei record, con il supporto degli architetti Davide Dutto e Pier Carlo Bontempi. A distanza di sette anni il percorso botanico è ormai terminato, con numeri davvero da guinness: otto ettari di superficie coperta, tre chilometri di intricati percorsi, trenta diverse specie di bambù. Da completare ancora tutta la zona adibita alle costruzioni, che ospiterà la vastissima collezione bibliografica e artistica dell’artista, oltre che diversi spazi culturali e commerciali aperti al pubblico.

Manca ancora poco più di un anno, secondo i progetti iniziali dell’ideatore, al suo completamento. Il 2013, difatti, è un anno importante che celebrerà due importanti ricorrenze. In primis, l'anniversario della morte di Giambattista Bodoni, stampatore e direttore della tipografia reale di Parma nel diciottesimo secolo, nonché creatore del famoso carattere, di cui parla nel suo Manuale tipografico, la prima opera stampata da Ricci come editore. In secundis, si festeggia il bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi. L'idea è quella di inaugurare il più grande labirinto mai realizzato con un omaggio ai due ispiratori del collezionista parmigiano.



(da http://viaggi.libero.it/)

martedì, novembre 15, 2011

Gufi contro la massoneria: il giallo di vicolo Facchini (Bologna)


Sono apparsi all'improvviso nel fine settimana sui muri di vicolo Facchini. Giganteschi, appollaiati su dei rami, a tratti quasi spaventosi. Nella piccola via della cittadella universitaria dove in un sabato di settembre si è discusso di quello che la città ci dice attraverso i suoi muri nell'ambito di "Bologna al muro", sono stati disegnati dei gufi, diventati il simbolo del collettivo "Distruggi la loggia".

L'apparizione dei gufi è la terza azione del collettivo, dichiarano in una mail di rivendicazione: la prima risale ai primi di settembre, quando Palazzo Bentivoglio fu tappezzato di volantini con lo stemma della storica famiglia bolognese; la seconda, pochi giorni fa, in occasione del pensionamento di Fabio Roversi Monaco, quando sono stati distribuiti rotolini con i versi di Orazio dalla sede della Fondazione Carisbo fino all'aula di Santa Lucia.

Ora è la volta dei gufi, dapprima incatenati e incapaci di volare, poi progressivamente liberi di attaccare chi ha messo loro in catene. Scrive ancora il collettivo: "Il gufo, presente anche sulla banconota da un dollaro, rappresenta il lato oscuro del potere. E' il simbolo del Bohemian club, la loggia di politici e banchieri internazionali che sta gestendo la crisi globale attraverso lo spostamento di ingenti capitali". Il proposito di "Distruggi la Loggia" è quello di "portare allo scoperto fatti cittadini che vedono le logge massoniche ed altri centri di potere continuare ad affossare la città, ormai da vent'anni asservita al denaro, intimorita dalle minacce, blandita dalle promesse".




(da http://bologna.repubblica.it/)

lunedì, ottobre 31, 2011

Hurbinek


Hurbinek era un nulla, un figlio della morte, un figlio di Auschwitz. Dimostrava tre anni circa, nessuno sapeva niente di lui, non sapeva parlare e non aveva nome: quel curioso nome, Hurbinek, gli era stato assegnato da noi, forse da una delle donne, che aveva interpretato con quelle sillabe una delle voci inarticolate che il piccolo ogni tanto emetteva. Era paralizzato dalle reni in giú, ed aveva le gambe atrofiche, sottili come stecchi; ma i suoi occhi, persi nel viso triangolare e smunto, saettavano terribilmente vivi, pieni di richiesta, di asserzione, della volontà di scatenarsi, di rompere la tomba del mutismo. La parola che gli mancava, che nessuno si era curato di insegnargli, il bisogno della parola, premeva nel suo sguardo con urgenza esplosiva: era uno sguardo selvaggio e umano ad un tempo, anzi maturo e giudice, che nessuno fra noi sapeva sostenere, tanto era carico di forza e di pena.

...

Hurbinek, che aveva tre anni e forse era nato in Auschwitz e non aveva mai visto un albero, – Hurbinek, che aveva combattuto come un uomo, fino all'ultimo respiro, per conquistarsi l'entrata nel mondo degli uomini, da cui una potenza bestiale lo aveva bandito; Hurbinek, il senza-nome, il cui minuscolo avambraccio era pure stato segnato col tatuaggio di Auschwitz; Hurbinek morí ai primi giorni del marzo 1945, libero ma non redento. Nulla resta di lui - egli testimonia attraverso queste mie parole.


(Primo Levi, brani tratti dal libro "La Tregua")

venerdì, ottobre 07, 2011

Afghanistan, 10 anni di guerra


Cari amici di Emergency,

ricorre in questi giorni il decimo anniversario dell’ennesima aggressione militare in Afganistan. Quella cui orgogliosamente partecipa anche il nostro paese.
La casta politica italiana dal 2002 a oggi ha sempre approvato in modo bipartisan le spese per la guerra in Afganistan - camuffata da “missione di pace”. Per tenervi una media di 3.000 soldati, ha speso fino a ora quasi 4 miliardi di euro.
Il danaro delle nostre tasse per la guerra, contro la nostra Costituzione, contro le nostre coscienze.

In dieci anni Emergency ha speso in Afganistan 55 milioni di euro. Con poco più dell’1 per cento di quello che i governi italiani hanno speso per la guerra, Emergency ha realizzato 3 Centri chirurgici, un Centro di maternità, una rete di 29 Posti di primo soccorso e Centri sanitari, curando oltre 3 milioni di persone di tutti i gruppi sociali, di tutte le parti politiche, di tutti i credo religiosi.

Il lavoro di Emergency, non i blindati, è il pezzo di Italia che gli afgani apprezzano. Le vittime non capiranno mai le motivazioni di chi porta lutti e miseria, le ragioni di chi semina terrore per combattere il terrorismo, di chi pratica la guerra per fare finire la guerra.

Che cosa avrebbe potuto fare l’Italia per gli sfortunati cittadini afgani, che sopravvivono in mezzo alla guerra da ormai trentacinque anni?
Come si traducono 4 miliardi di euro? In migliaia – non centinaia – di ospedali, cliniche, scuole.

Peccato che i soldi ci siano sempre per la guerra, mai per costruire la pace e i diritti.
Persino i soldi che i cittadini hanno deciso di destinare agli aiuti umanitari attraverso il 5 per mille non sono ancora stati erogati. I soldi sono lì, nelle loro banche, i cittadini li hanno versati nel 2009, ma il governo preferisce tenerseli il più a lungo possibile.
Questo sta creando a Emergency grandi difficoltà economiche, perché i nostri ospedali e le nostre cliniche non possono aspettare i tempi della politica, hanno bisogni urgenti, immediati, concreti.

Per questo vi rivolgiamo un appello a sostenere economicamente Emergency ora più che mai. Per poter continuare a lavorare, a curare persone, a portare umanità nella barbarie della guerra.

Grazie
Gino Strada


Afghanistan, 10 anni di guerra - Guarda il video


(da www.emergency.it)

giovedì, settembre 29, 2011

Il mostro


Ecco spuntare da un mondo lontano
l'ultimo mostro peloso e gigante
l'unico esempio rimasto di mostro a sei zampe

Quanto mi piace vederlo passare,
cosa farei per poterlo toccare
io cosa farei...

Dicono che sia capace di uccidere un uomo
non per difendersi, solo perché non è buono

Dicono loro che sono scienziati affermati
classe di uomini scelti e di gente sicura
Ma l'unica cosa evidente è che il mostro ha paura
il mostro ha paura...

E' alla ricerca di un posto lontano dal male
certo una grotta in un bosco sarebbe ideale
ma l'unico posto tranquillo è quel vecchio cortile
l'unico spazio che c'è per un grande animale

Dicono Siamo in diretta lo scoop è servito
questa è la tana del mostro, l'abbiamo seguito
Dicono loro che sono cronisti d'assalto
classe di uomini scelti di gente sicura
Ma l'unica cosa evidente
l'unica cosa evidente è che il mostro ha paura
il mostro ha paura...

Basta passare la voce che il mostro è cattivo
poi aspettare un minuto e un esercito arriva
bombe e fucili ci siamo, l'attacco è totale
gruppi speciali circondano il vecchio cortile

Dicono che sono pronti a sparare sul mostro
Lo prenderemo sia vivo che morto sul posto!
Dicono loro che sono soldati d'azione
classe di uomini scelti e di gente sicura
ma l'unica cosa evidente è che il mostro ha paura
il mostro ha paura...

Vorrebbe farsi un letargo e prova a chiudere gli occhi
ma lui sa che il letargo viene solo d'inverno
riapre gli occhi sul mondo, questo mondo di mostri
che hanno solo due zampe ma sono molto più mostri

Gli resta solo una cosa
chiamare il suo mondo lontano
lo fa con tutto il suo fiato, ma sempre più piano...
Vorrei poterlo salvare, portarlo via con un treno
lasciarlo dopo la pioggia, là sotto l'arcobaleno...




(Samuele Bersani, Il Mostro, tratto dall'album "C'hanno preso tutto" del 1992)

mercoledì, settembre 14, 2011

Wovoka (Paiute, 1856-1932)


" Dio mi ha spinto a dire alla mia gente di essere buona, di amarsi l'un l'altro, di non combattere, rubare o mentire. Mi ha trasmesso questa danza, perché io potessi passarla al mio popolo. "

Il padre di Wovoka, Tavibo, era un profeta noto tra i Paiute. Molto presto portò Wovoka con sé nelle sue peregrinazioni tra i campi paiute che erano distribuiti su un enorme territorio. Fu così che Wovoka prese confidenza con la religione del suo popolo, impregnata da un profondo sentimento di devozione per piante, animali e la natura in genere. I Paiute del Nord avevano inoltre una inclinazione particolare per rituali e cerimonie. Alla morte del padre, il ragazzo, quattordicenne, fu accolto dalla famiglia di David Wilson, un rancher, e gli fu dato il nome Jack, per cui lo si conosce anche come Jack Wilson. Al suo padre adottivo, pio e rispettoso della Bibbia, Wovoka deve la profonda venerazione per la vita e l'opera di Cristo, così come suscitavano in lui grande interesse i miracoli di Cristo, oltre all'idea della venuta del Messia. Wovoka si occupò intensamente di problemi religiosi e durante i suoi viaggi conobbe molte sette e ne studiò l'influenza sulle persone e a poco a poco si fece delle profonde opinioni personali. Due mondi, quello del Cristianesimo e quello della religione legata alla natura del suo popolo, si fusero in lui per dar vita a una cosa unica, che rappresentava la base del Ghost-Dance-Bewegung. Come raccontò in seguito, Wovoka, dopo essere guarito da una forte febbre, ebbe una visione:

"Quando il sole tramontò, andai in cielo e vidi Dio e tutti gli uomini morti da tempo. Dio mi incaricò di tornare e dire al mio popolo di essere buoni, di amarsi l'un l'altro, di non combattere, rubare o mentire. Mi ha trasmesso il segreto di questa danza perché io potessi passarla al mio popolo."

Basandosi sull'eclissi solare che i Paiute indicavano come data, si può dedurre che la visione dovrebbe essere avvenuta il 1° gennaio 1889. Quel giorno infatti vi era stata un'eclisse totale di sole e questo episodio ci fa ricordare Tenskwatawa, fratello di Tecumseh, che aveva profetizzato - nell'estate del 1806 - che il sole si sarebbe oscurato e quando accadde realmente, fu ritenuto il più potente profeta del "vecchio Nord-Ovest" e poté aiutare suo fratello Tecumseh a realizzare le proprie idee. Wovoka non aveva, però, scopi politici. Era convinto di dover trasmettere il messaggio del Grande Spirito. Fece confluire nella danza una parte consistente dei rituali di diverse religioni. Wovoka non si considerava una divinità, ma la gente della sua tribù lo indicava come il messia. Per spiegarlo si può pensare a numerose sette, come per esempio i Mormoni, che credevano nella reincarnazione di Cristo sulla terra. Il testo dell'annuncio di Wovoka del messaggio del Grande Spirito è il seguente:

"Tutti gli Indiani devono ballare in ogni luogo, non devono mai smettere di ballare. Molto presto, già la prossima primavera, verrà il Grande Spirito. Riporterà tutta la selvaggina... Tutti gli Indiani si leveranno e torneranno a vivere. Diventeranno forti come uomini giovani, torneranno a essere giovani. Se anche un indiano è vecchio e cieco, tornerà giovane e potrà godere la vita. Quando il Grande Spirito tornerà, gli indiani saliranno sulle montagne, lontani dai bianchi che non potranno far loro del male. Quando gli Indiani saranno in alto arriverà una grande massa d'acqua e tutti i bianchi annegheranno, poi l'acqua si ritirerà e ovunque ci saranno solo indiani e ci sarà molta selvaggina. Infine lo stregone inviterà tutti gli Indiani a continuare a ballare e comincerà un periodo felice!"

Nonostante Wovoka non avesse alcuno scopo politico con i suoi insegnamenti, gli effetti furono assolutamente politici. La Ghost-dance, come fu chiamata quella predicata dal "Messia" dei Paiute, si trasformò ben presto in un grande movimento che trovò aderenti specie tra le tribù degli Altopiani. La situazione che per la maggior parte di questi indiani costituiva il terreno più adatto per il movimento della Ghost-dance dipendeva dal fatto di essere stati strappati dal modo di vivere cui erano abituati, stipati nelle riserve, dove vegetavano apatici e dipendevano da quello che l'Agente per gli Indiani passava loro, come se si trattasse di un'elemosina, anche se questo, in realtà, non era che una parte infinitesimale di ciò che era stato loro tolto. Il governo arrivò a proibire agli indiani anche la "danza del sole", da cui gli indiani avevano tratto forza negli anni difficili della guerra contro gli Americani. Quando gli indiani vennero a sapere dell'esistenza di un Messia ripresero a sperare e vollero saperne di più. Kicking Bear, Short Bull e Porcupine, tre Holy Men della riserva in Sud Dakota, decisero di andare in Nevada dal Messia per ascoltare il suo messaggio con le proprie orecchie. Fecero la prima parte del viaggio in treno e proseguirono a cavallo. Dagli indiani Paiute, che avevano messo i cavalli a loro disposizione, seppero che il Red God of Nevada (il dio rosso del Nevada) viveva a Walker Lake, dove si erano già radunate alcune centinaia di indiani delle più diverse tribù: Arapaho, Cheyenne, Shohoni e Bannock. Il Messia fece dire loro di aspettare, che sarebbe arrivato subito. Ognuno di loro, come raccontò poi Porcupine al maggiore Carroll, ricevette una noce bianca che doveva mangiare. Poco prima del tramonto del terzo giorno, comparve Wovoka: non era un bianco, come avevano supposto, ma uno di loro! Ai presenti disse:

"Vi ho fatto venire e mi rallegro oggi di vedervi. Poi vi racconterò dei vostri parenti che sono morti e hanno lasciato la terra. Figli miei, desidero che ascoltiate attentamente ciò che ho da dirvi. Vi insegnerò una danza e desidero che voi danziate. Preparatevi per la danza e quando sarà finita, vi parlerò."

Porcupine prosegue nel racconto:

"Poi danzarono mentre il Messia cantava. Danzarono fino a notte fonda, finché non disse che era sufficiente. Il mattino successivo vidi il Messia di nuovo e questa volta sembrava completamente diverso. Non era scuro come un indiano, ma non era neanche chiaro come un bianco. Non aveva la barba, ma aveva le sopracciglia molto folte ed era di bell'aspetto. Ci dissero che non avremmo dovuto parlare, perché il Messia ci avrebbe udito anche se fossimo rimasti in silenzio. Ci parlò tutto il giorno, poi cominciò a cantare, tutto il suo corpo fu scosso da un tremito e infine si sdraiò. Danzammo tutta la notte, mentre il Messia giaceva a terra, come morto. Il mattino seguente ci ritrovammo e il Messia ci disse:

«Sono l'uomo che ha creato tutto ciò che vi circonda, non vi mento, figli miei. Creai questa terra e tutto ciò che vi si trova sopra. Ero in cielo e ho visto i vostri amici morti ho visto anche mio padre e mia madre. All'inizio, dopo che Dio creò la terra, mi mandò indietro perché predicassi agli uomini e quando venni gli uomini si spaventarono e mi trattarono male. Guardate cosa mi hanno fatto (e mostrò le ferite). Non tentai di difendermi. Decisi che i miei figli erano cattivi e quindi lasciai e tornai in cielo. Dissi loro che sarei tornato, per rivederli. Trascorso questo periodo, fui rimandato sulla terra per tentare ancora di predicare agli uomini. Mio padre mi disse che la terra era invecchiata e consumata e gli uomini erano diventati cattivi, e che il mio compito era quello di riportare tutto allo stadio iniziale e migliorarlo».

Tornai dalla mia tribù per raccontare tutto ciò che il Messia mi aveva incaricato di raccontare a tutti.
"

Toro Seduto si fece raccontare tutto del viaggio da Kicking Bear. In un lampo il movimento della Ghost-dance si propagò, gli Indiani tornarono a sperare, indossavano la Ghost-shirt, un abito speciale per la Ghost-dance che avrebbe dovuto renderli forti contro le pallottole e danzavano fino a che non cadevano in estasi. In questo stato vedevano tutto come lo aveva descritto il Messia e dimenticavano la realtà della loro triste esistenza. Nonostante il movimento non avesse niente che facesse pensare alla guerra, gli agenti degli indiani osservavano con diffidenza gli indiani che si riunivano e danzavano insieme. Per ignoranza e in parte anche per odio, comunicarono che si stava preparando una rivolta e chiesero rinforzi militari. Mentre l'assassinio di Toro Seduto, in condizioni normali, avrebbe provocato una rivolta degli Sioux, ora le profezie di Wovoka che prevedevano che i bianchi in primavera sarebbero stati annientati da un'enorme massa d'acqua, li convinse a non imbracciare le armi. Ma il sogno del ritorno degli indiani morti e della scomparsa di tutti i bianchi, si infranse sotto i colpi mortali di Wounded Knee. La notizia di questa atrocità riempì Wovoka di orrore e di spavento perché mai i suoi insegnamenti avevano incitato all'uso della forza. La Ghost-dance fu praticata solo sporadicamente e più o meno, si verificò il senso del commento di Nuvola Rossa sul messaggio di Wovoka:

"Se è vero si spargerà per tutta la terra, se non è vero si scioglierà come neve sotto i raggi caldi del sole."

Il creatore del movimento della Ghost-dance morì, quasi dimenticato, il 20 ottobre 1932, nella sua capanna sul Walker Lake. Dovette infine riconoscere che per gli Indiani non vi era che una strada:

"Figli miei, figli miei! In anni molto lontani vi ho invitato ad andare a caccia o di mettervi sul sentiero di guerra. Ora tutti questi sentieri sono coperti dalla sabbia o vi è cresciuta l'erba; gli uomini giovani non riescono più a trovarli. Figli miei, oggi vi invito a seguire un nuovo sentiero, l'unico sentiero che vi resti ora aperto: il sentiero dell'uomo bianco..."

venerdì, settembre 02, 2011

Ode alla Notte


Vieni, Notte antichissima e identica,
Notte Regina nata detronizzata,
Notte internamente uguale al silenzio, Notte
con le stelle, lustrini rapidi
sul tuo vestito frangiato di Infinito.
Vieni vagamente,
vieni lievemente,
vieni sola, solenne, con le mani cadute
lungo i fianchi, vieni
e porta i lontani monti a ridosso degli alberi vicini,
fondi in un campo tuo tutti i campi che vedo,
fai della montagna un solo blocco del tuo corpo,
cancella in essa tutte le differenze che vedo da lontano di giorno,
tutte le strade che la salgono,
tutti i vari alberi che la fanno verde scuro in lontananza,
tutte le case bianche che fumano fra gli alberi
e lascia solo una luce, un'altra luce e un'altra ancora,
nella distanza imprecisa e vagamente perturbatrice,
nella distanza subitamente impossibile da percorrere.
Nostra Signora
delle cose impossibili che cerchiamo invano,
dei sogni che ci visitano al crepuscolo, alla finestra,
dei propositi che ci accarezzano
sulle ampie terrazze degli alberghi cosmopoliti sul mare,
al suono europeo delle musiche e delle voci lontane e vicine,
e che ci dolgono perché sappiamo che mai li realizzeremo.
Vieni e cullaci,
vieni e consolaci,
baciaci silenziosamente sulla fronte,
cosi lievemente sulla fronte che non ci accorgiamo d'essere baciati
se non per una differenza nell'anima
e un vago singulto che parte misericordiosamente
dall'antichissimo di noi
laddove hanno radici quegli alberi di meraviglia
i cui frutti sono i sogni che culliamo e amiamo,
perché li sappiamo senza relazione con ciò che ci può
essere nella vita.
Vieni solennissima,
solennissima e colma
di una nascosta voglia di singhiozzare,
forse perché grande è l'anima e piccola è la vita,
e non tutti i gesti possono uscire dal nostro corpo,
e arriviamo solo fin dove arriva il nostro braccio
e vediamo solo fin dove vede il nostro sguardo.
Vieni, dolorosa,
Mater Dolorosa delle Angosce dei Timidi,
Turris Eburnea delle Tristezze dei Disprezzati,
fresca mano sulla fronte febbricitante degli Umili,
sapore d'acqua di fonte sulle labbra riarse degli Stanchi.
Vieni, dal fondo
dell'orizzonte livido,
vieni e strappami
dal suolo dell'angustia in cui io vegeto,
dal suolo di inquietudine e vita-di-troppo e false sensazioni
dal quale naturalmente sono spuntato.
Coglimi dal mio suolo, margherita trascurata,
e fra erbe alte margherita ombreggiata,
petalo per petalo leggi in me non so quale destino
e sfogliami per il tuo piacere,
per il tuo piacere silenzioso e fresco.
Un petalo di me lancialo verso il Nord,
dove sorgono le città di oggi il cui rumore ho amato come un corpo.
Un altro petalo di me lancialo verso il Sud
dove sono i mari e le avventure che si sognano.
Un altro petalo verso Occidente,
dove brucia incandescente tutto ciò che forse è il futuro,
e ci sono rumori di grandi macchine e grandi deserti rocciosi
dove le anime inselvatichiscono e la morale non arriva.
E l'altro, gli altri, tutti gli altri petali
– oh occulto rintocco di campane a martello nella mia anima! –
affidali all'Oriente,
l'Oriente da cui viene tutto, il giorno e la fede,
l'Oriente pomposo e fanatico e caldo,
l'Oriente eccessivo che io non vedrò mai,
l'Oriente buddhista, bramanico, scintoista,
l'Oriente che è tutto quanto noi non abbiamo,
tutto quanto noi non siamo,
l'Oriente dove – chissà – forse ancor oggi vive Cristo,
dove forse Dio esiste corporalmente imperando su tutto...
Vieni sopra i mari,
sopra i mari maggiori,
sopra il mare dagli orizzonti incerti,
vieni e passa la mano sul suo dorso ferino,
e calmalo misteriosamente,
o domatrice ipnotica delle cose brulicanti!
Vieni, premurosa,
vieni, materna,
in punta di piedi, infermiera antichissima che ti sedesti
al capezzale degli dei delle fedi ormai perdute,
e che vedesti nascere Geova e Giove,
e sorridesti perché per te tutto è falso, salvo la tenebra e il silenzio,
e il grande Spazio Misterioso al di la di essi... Vieni, Notte silenziosa ed estatica,
avvolgi nel tuo mantello leggero
il mio cuore... Serenamente, come una brezza nella sera lenta,
tranquillamente, come un gesto materno che rassicura,
con le stelle che brillano (o Travestita dell'Oltre!),
polvere di oro sui tuoi capelli neri,
e la luna calante, maschera misteriosa sul tuo volto.
Tutti i suoni suonano in un altro modo quando tu giungi
Quando tu entri ogni voce si abbassa
Nessuno ti vede entrare
Nessuno si accorge di quando sei entrata,
se non all'improvviso, nel vedere che tutto si raccoglie,
che tutto perde i contorni e i colori,
e che nel cielo alto, ancora chiaramente azzurro e bianco all'orizzonte,
già falce nitida, o circolo giallastro, o mero diffuso biancore, la luna comincia il suo giorno.


(F. Pessoa)

giovedì, agosto 18, 2011

Non avessi sperato in te


Non avessi sperato in te
e nel fatto che non sei un poeta
di solo amore
tu che continui a dirmi
che verrai domani
e non capisci che per me
il domani e' gia' passato.



- Alda Merini -


venerdì, agosto 05, 2011

Si immagini ora un uomo


“Nulla è più nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga.”

“Si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poiché accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso; tale quindi, che si potrà a cuor leggero decidere della sua vita o morte al di fuori di ogni senso di affinità umana; nel caso più fortunato, in base ad un puro giudizio di utilità. Si comprenderà allora il duplice significato del termine << Campo di annientamento >>, e sarà chiaro che cosa intendiamo esprimere con questa frase: giacere sul fondo.”

“ Eccomi dunque sul fondo. A dare un colpo di spugna al passato e al futuro si impara assai presto, se il bisogno preme. Dopo quindici giorni dall’ingresso, già ho la fame regolamentare, la fame cronica sconosciuta agli uomini liberi, che fa sognare di notte e siede in tutte le membra dei nostri corpi; già ho imparato a non lasciarmi derubare, e se anzi trovo in giro un cucchiaio, uno spago, un bottone di cui mi possa appropriare senza pericolo di punizione, li intasco e li considero miei di pieno diritto. Già mi sono apparse, sul dorso dei piedi, le piaghe torpide che non guariranno. Spingo vagoni, lavoro di pala, mi fiacco alla pioggia , tremo al vento; già il mio stesso corpo non è più mio: ho il ventre gonfio e le membra stecchite, il viso tumido al mattino e incavato a sera; qualcuno fra noi ha la pelle gialla, qualche altro grigia: quando non ci vediamo per tre o quattro giorni, stentiamo a riconoscerci l’un l’altro.”


(Se questo è un uomo – Primo Levi)

mercoledì, luglio 27, 2011

Il Grande Spirito parla al nostro cuore


CANZONE DELLA LUNA NUOVA - Takelma
da: "49 canti degli Indiani d'America" Ed. Mondadori

Io prospererò, e rimarrò, e anche se i malevoli dicessero:
«Vorrei che fosse morto!", proprio come te risorgerò ogni volta; come risorgi tu, dopo che i rospi della notte e i ramarri ti hanno divorata. Tu torni sempre e proprio come te io tornerò al momento giusto, ritornerò.

LA CREAZIONE DEL CIELO
La Prima Donna dispose le stelle
per aiutare la Luna a far luce.
Ad una ad una le ordinò per bene,
in forma di animali luccicanti
appesi alla notte.
Ma il Vecchio Coyote irruppe festoso,
e sparse le stelle come oggi le vedi.
(Algonkin Blackfeet)

tratta da: Canti degli Indiani d'America

Chochise

FRATELLI MIEI - Tatanka Iyotake o Tatanka Yotanka,Toro Seduto, Sioux
da: "Il Grande Spirito parla al nostro cuore" Ed. Red Acquista

Guardate, fratelli miei, la primavera è arrivata;
la terra ha ricevuto l'abbraccio del sole
e noi vedremo presto i risultati di questo amore!
Ogni seme si è svegliato.
E così anche tutta la vita animale.
E grazie a questo potere che noi esistiamo.
Noi perciò dobbiamo concedere ai nostri vicini,
anche ai nostri vicini animali,
il nostro stesso diritto di abitare questa terra.

LA PIOGGIA-BAMBINO
da: "49 canti degli Indiani d'America" Ed. Mondatori

Nella Donna-Sorgente ancora una volta,
cade una goccia dell'Uomo-Acqua,
dà vita, all'incontro, alla Pioggia-Bambino.

(Navajo)

mercoledì, luglio 20, 2011

Chernobyl, 25 anni dopo



26 aprile 1986: il giorno del più grave disastro nucleare della storia. A distanza di 25 anni, l'area conta qualche centinaio di abitanti. Ma la paura rimane…

Pochi anni prima della sua distruzione, era un importante centro industriale e commerciale dell'Ucraina settentrionale, a 100 km a Nord di Kiev. Il nome della città deriva da una combinazione tra chornyi e byllia ed il suo significato letterale sarebbe "stelo d’erba nero". Nel suo nome, il suo destino.

Il disastro nucleare è accaduto nei pressi della città di Pripjat, di cui rimane soltanto mura, macerie e desolazione. Černobyl, a solo 30 km dalla centrale, è stata relativamente poco colpita rispetto alle altre città limitrofe: le sue radiazioni sono state diffuse rapidamente verso nord, in Bielorussia. Per poi giungere in Europa. Un'emissione centinaia di volte superiore a quella delle bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki.

A causare la catastrofe ambientale una serie di cause concatenate causate da errori del personale: nel corso di una simulazione di guasto al sistema di raffreddamento, le barre di uranio del nocciolo del reattore nucleare si surriscaldarono per davvero, fino alla fusione del nocciolo del reattore n° 4, con due conseguenti esplosioni che fecero scoperchiare la copertura e disperdere nell'aria le particelle radioattive. 36 ore dopo l'incidente l'area di Černobyl fu evacuata.

Nell'ottobre del 1988 si pensò di radere al suolo una parte della città a causa del forte inquinamento radioattivo, ma tale soluzione avrebbe prodotto un ulteriore sollevamento di particelle che si erano depositate negli anni. Oggi vi risiedono ancora operai governativi, impegnati nella rimozione delle scorie nucleari. E 700 persone, soprattutto anziani, che hanno scelto di tornare alle loro case, incuranti del pericolo.

Dopo 25 anni, il bilancio della catastrofe suscita ancora controversie. Secondo le autorità ucraine 5 milioni di persone hanno sofferto le conseguenze della tragedia. Per Greenpeace il numero varierebbe da 100 mila a 400 mila. Secondo uno studio pubblicato del 2006, i casi di cancro dovuti alla contaminazione di Chernobyl sono stimati in 270mila. Ma l'Unscear, la commissione scientifica dell'Onu per gli effetti delle radiazioni nucleari, riconosce solo 31 vittime dirette dell'incidente, tra operatori e pompieri. Perplessità. Numeri a parte, Cernobyl ha comunque insegnato qualcosa all’umanità intera. Non dimentichiamolo.


(da http://viaggi.libero.it/news)

lunedì, luglio 04, 2011

Il Labirinto più grande al mondo


Sta sorgendo a Fontanellato (Parma) il più grande labirinto del mondo, da un'idea di Franco Maria Ricci: un personaggio che per molti anni ha disegnato libri d'arte sofisticati e una rivista storica (la FMR). Ora, a 72 anni, ha deciso di dedicarsi a questa sua grande passione, ovvero realizzare quello che al termine dei lavori (previsto per il 2013) sarà il più grande labirinto del mondo, fatto di piante. Si cercherà di terminare i lavori nel 2013 in quanto in quell'anno cadrà il bicentenario della morte di Giambattista Bodoni, famoso incisore, tipografo e stampatore italiano morto a Parma il 29/11/1813.
Il labirinto ha sempre evocato grande fascino nei popoli e in ogni epoca: il labirinto è una struttura, solitamente di vaste dimensioni, costruita in modo tale che risulti difficile per chi vi entra trovare l'uscita (definizione di wikipedia). La memoria va subito al mitico labirinto di Cnosso, che secondo la mitologia greca fu fatto costruire dal Re Minosse sull'isola di Creta per racchiudervi il Minotauro (il mostro che era nato dall'unione tra sua moglie e un toro): il labirinto era stato costruito dalla mente geniale di Dedalo, assieme ad Icaro, ed era così intricato che loro stessi ne rimasero prigionieri al termine della costruzione (fu in questa occasione che Dedalo costruì delle ali che, appiccicandole alle spalle con della cera, permise loro di volare ed uscirne fuori). Il Minotauro (che divorava ogni anno sette bambini e sette bambine di Atene) fu poi ucciso da Teseo, il quale uscì dal labirinto grazie al filo che Arianna gli aveva dato e che aveva lasciato scorrere lungo il suo percorso.
Ma torniamo alla notizia, che ho trovato sull'inserto Il Venerdì del quotidiano la Repubblica del 04/06/2010 (articolo di Alessandro Gandolfi). Dunque il sig. Franco Maria Ricci vuole realizzare questo enorme labirinto vegetale: 8 ettari di superficie, un quadrato con lato di 300 metri, per un percorso totale al suo interno di ben 3 km costituito da “muri” vegetali di bambù alti ben 5 metri (sono state piantate 60.000 piante di bambù di 25 specie diverse provenienti dalla Liguria, dalla Francia e dalla Cina settentrionale)! Questo labirinto sarà l'attrazione principale di un parco culturale aperto al pubblico e guidato da una fondazione: ospiterà un museo, un ristorante, un'area per esposizioni temporanee e una libreria. All'uscita del labiritno ci sarà una cappella a forma di piramide perchè, come dice Ricci, è “simbolo della Trinità cattolica ma anche della massoneria, dei rivoluzionari, del laicismo e in generale del mistero”. L'idea di quest'opera gli è venuta perchè come dice lui stesso “Ho sempre pensato che un uomo a 65 anni dovrebbe smettere di fare ciò che ha fatto per una vita” ma anche, e soprattutto, per dare un segnale di contrasto alla crisi in cui versano i musei pubblici. Dice infatti: “Il visitatore oggi entra nei castelli, ammira le mostre tematiche, è attratto dalle collezioni private rese attraenti da una bella confezione. Ecco, il parco permetterà ai visitatori di trascorrere una domenica diversa, di godere delle opere d'arte ma anche di divertirsi”. Il labirinto è stato disegnato dallo stesso Ricci assieme all'architetto torinese Davide Dutto ed è stato ispirato da due mosaici romani, uno conservato al Kunsthistoriches Museum di Vienna ed uno al Museo del Bardo di Tunisi.
Molto tempo fa, Franco Maria Ricci parlò di questa sua idea con Jorge Luis Borges (grande scrittore e poeta argentino morto nel 1966), il quale gli disse: “Il tuo labirinto non sarà mai il più grande del mondo, il più grande è il deserto”.

(articolo tratto da http://90meteo.blogspot.com)

martedì, giugno 14, 2011

Nessuno mi ha riconosciuto


Nessuno mi ha riconosciuto sotto la maschera dell'identità con gli altri, né ha mai saputo che ero maschera, perché nessuno sapeva che a questo mondo esistono i mascherati. Nessuno ha supposto che a mio lato ci fosse sempre un altro che in fondo ero io. Mi hanno sempre creduto identico a me stesso.
Tutti noi viviamo distanti e anonimi; dissimulati, soffriamo da sconosciuti. Ad alcuni, però, questa distanza fra loro stessi e un altro essere non si rivela mai; per altri è talvolta illuminata, di orrore o di pena, da un lampo senza limiti; ma per altri essa non è altro che la dolorosa costanza e quotidianità della vita.
Sapere esattamente che chi siamo non ci riguarda, che ciò che vogliamo è ciò che non vorremmo, né forse qualcuno ha voluto; sapere tutto questo a ogni minuto, sentire tutto questo in ogni sentimento, non significherà essere straniero nella propria anima, esiliato nelle proprie sensazioni?


(Fernando Pessoa, "Il Libro dell'Inquietudine di Bernardo Soares")

lunedì, maggio 23, 2011

L'Inferno dentro

Il reportage di Nicola Gronchi, fotografo di Shoot4Change, racconta la storia del manicomio di Volterra, diventato tristemente “famoso”, dopo la sua chiusura, per i graffiti di Nannetti Oreste Fernando. 180 metri di muro esterno in cui NOF4, come lui stesso si firmava, ha inciso nei lunghi anni di degenza un’opera enciclopedica di sentimenti, biografie e crimini subiti e testimoniati. Parole, poesie, disegni scavati nella pietra gialla con la fibbietta del gilet della divisa dei matti reclusi. Questo lavoro rappresenta una cruda testimonianza e uno spunto di riflessione su Franco Basaglia, psichiatra e neurologo italiano che si è battuto per la chiusura, nel 1978, dei manicomi in Italia. L'Ospedale psichiatrico di Volterra, nato nel 1888, conobbe negli anni cinquanta e sessanta, un vasto sviluppo tale da essere considerato, fino alla famosa legge Basaglia del 1978, uno dei manicomi più grandi d’Italia con oltre 100 mila metri cubi di volume. “Andare a Volterra” significava spesso finire internati nell'Ospedale Psichiatrico Ferri, una struttura composta da tre edifici principali in cui trovarono ricovero anche 6000 persone contemporaneamente, con un numero di 20 lavandini e 2 gabinetti ogni 200 degenti: un vero e proprio inferno sulla terra, in cui si poteva essere rinchiusi ai primi sintomi di depressione, di presunta schizofrenia o anche per accuse politiche o di morale. Trattamenti a base di scariche elettriche, coma indotto con insulina e tutto un prontuario di pillole e veleni somministrati per “testare” i risultati ignorando completamente le conseguenze spesso irreversibili sui pazienti scelti per tale trattamento. Attualmente (2011) la struttura è in un profondo, tragico e inquietante processo di totale abbandono e il camminare in quei luoghi, in quelle stanze trasmette un infinito senso di rabbia e impotenza, sentimenti che insieme alla solitudine venivano sicuramente percepiti dai pazienti rinchiusi in un inferno senza tempo.

martedì, maggio 17, 2011

Pripyat


(articolo tratto da http://viaggi.libero.it/)

La città fantasma ucraina

C'era una volta una città pensata per ospitare i lavoratori di Cernobyl. E oggi che cosa rimane? Scoprite con noi i segreti di Pripyat.

I suoi lavori di costruzione iniziarono appena quarant’anni fa, esattamente il 4 febbraio 1970: nacque con le intenzioni di accogliere i lavoratori ed i costruttori della centrale nucleare di Chernobyl, con le loro relative famiglie. La qualità della vita qui era alta, rispetto al resto dell’Unione Sovietica: nel 1986 si contavano circa 47mila abitanti. Prima dell’abbandono definitivo in seguito al disastro nucleare: il 26 aprile 1986 si verifica il più grave incidente nucleare della storia.
Qui tutto era moderno e funzionale: due ospedali, di cui uno pediatrico, due hotel, un centro commerciale, tanti ristoranti, bar, cinema, teatro, piscina coperta ed aiuole. Tante aiuole, tanto da essere stata battezzata come la Città dei fiori. La città è attualmente completamente disabitata: tutto è fermo a quel mese di aprile, quando l’uomo si è distrutto con le sue stesse mani.

Tutto è come allora: macchine da scontro, bambole abbandonate per strada, case completamente arredate, armadi pieni, tavole apparecchiate e fotografie sparse per gli uffici. Come nel peggiore dei film del terrore. Gli abitanti lasciarono la città con la convinzione che la loro sarebbe stata un’assenza temporanea, un massimo di tre settimane, a causa di "un lieve incidente" avvenuto alla Centrale elettronucleare, come in prima battuta venne loro detto. Il resto è storia.

Eppure qui vive ancora un gruppo esiguo di persone che ha voluto riappropriarsi delle proprie case a costo della propria vita. O di quel che ne è rimasto. E vivono tra edifici pericolanti e alimenti radioattivi, strade a rischio di crollo e la puzza di morte urbana che si respira in ogni angolo della città. Insieme ad animali selvatici che si sono impadroniti della zona e che sono sottoposti ad i venti radioattivi che si diffondono ancora per intere miglia.

Dalle strade asfaltate fuoriescono piante ed alberi, i supermercati ancora pieni emanano odori di muffe, l’acqua dei torrenti è contaminata. Il parco giochi, allestito per i festeggiamenti del primo maggio, è la zona più radioattiva, essendo la zona più vicina a Chernobyl. Qui il vento portò le prime particelle radioattive, giunte qui dopo aver distrutto la foresta in poche ore, soprannominata Foresta Rossa per il colore che assunse a causa della contaminazione. Si calcola che le radiazioni rimarranno nell’area per circa 48mila anni. E che la zona potrà essere nuovamente abitata tra circa 600 anni. Nella speranza che l’uomo inizi ad imparare dai propri errori.


venerdì, maggio 06, 2011

Quando mi vieni a prendere ?


Anche se non amo particolarmente Luciano Ligabue devo ammettere che questa canzone del suo ultimo disco, del 2010, "Arrivederci, Mostro!" è veramente emozionante... secondo me, leggendo il testo, ti distrugge anima e corpo... parla di un orribile fatto accaduto in un asilo belga, a Dendermonde, quando il 23/01/2009 un adolescente fece irruzione vestito da Joker e uccise alcuni bimbi e una maestra... Ligabue descrive la tragedia dal punto di vista di uno dei piccoli... mamma mia...


"Mia madre che ha insistito che facessi colazione
e sa che la mattina il mio stomaco si chiude
ho finto di esser stanco, ho finto di star male
lei non ci casca più e io non schivo più l’asilo

In macchina si è messa a cantarmi una canzone
è sempre molto bella
anche se oggi non mi tiene
Il latte viene su
e mi comincio a preoccupare
che in mezzo a tutti gli altri
mi vergogno a vomitare

Quando mi vieni a prendere?
Quando finisce scuola?
Quando torniamo ancora insieme a casa?
Quando mi vieni a prendere?
Dammi la tua parola.
Quando giochiamo insieme a qualche cosa?

E la maestra oggi
sembra molto più nervosa
non so se è colpa nostra
o se sente chissà cosa
un paio di noi altro le fanno sempre fare il pieno
e io vorrei soltanto
che non mi stessero vicino

e poi è stato come quando tolgono la luce
e la maestra urlava come con un’altra voce.
Se non stiamo buoni arriva forse l’uomo nero
io prima ho vomitato e lui adesso è qui davvero

Quando mi vieni a prendere?
Quando finisce scuola?
Quando torniamo ancora insieme a casa?
Quando mi vieni a prendere?
Dammi la tua parola.
Vieni un po' prima fammi una sorpresa

L'uomo nero forse è qui
perchè ci vuol mangiare
non vedo la forchetta
ma il coltello può bastare
ti chiedo scusa mamma se ti ho fatta un po' arrabbiare
ma fai fermare tutto
che ho capito la lezione
e tu e papà che litigate spesso sul futuro
e io che sempre chiedo
ma il futuro che vuol dire

e l'uomo nero gioca
e questo gioco quanto dura
forse dopo questo gioco
avrò meno paura

Quando mi vieni a prendere?
Quando finisce scuola?
Quando torniamo ancora insieme a casa?
Quando mi vieni a prendere?
Dammi la tua parola.
Ti devo chiedere un'altra volta scusa

e la maestra adesso è sdraiata e sta dormendo
i miei amici urlano, qualcuno sta ridendo
ci sono le sirene e sono sempre più vicine
che giochi enormi che sa organizzare l’uomo nero
i miei amici ora stanno solamente urlando
e tutti quanti insieme
è proprio me che stan guardando
ma non ho scelto io di stare qui con l'uomo nero
appena lui mi lascia
è con voi che voglio stare

Quando mi vieni a prendere?
Quando finisce scuola?
Quando torniamo ancora insieme a casa?
Quando mi vieni a prendere?
Dammi la tua parola.
Vieni un po’ prima
fammi una sorpresa".


(Luciano Ligabue)

giovedì, maggio 05, 2011

Agli amici


Cari amici, qui dico amici
Nel senso vasto della parola:
Moglie, sorella, sodali, parenti,
Compagne e compagni di scuola,
Persone viste una volta sola
O praticate per tutta la vita:
Purché fra noi, per almeno un momento,
Sia stato teso un segmento,
Una corda ben definita.

Dico per voi, compagni d’un cammino
Folto, non privo di fatica,
E per voi pure, che avete perduto
L’anima, l’animo, la voglia di vita:
O nessuno, o qualcuno, o forse un solo, o tu
Che mi leggi: ricorda il tempo,
Prima che s’indurisse la cera,
Quando ognuno era come un sigillo.
Di noi ciascuno reca l’impronta
Dell’amico incontrato per via;
In ognuno la traccia di ognuno.
Per il bene od il male
In saggezza o in follia
Ognuno stampato da ognuno.
Ora che il tempo urge da presso,
Che le imprese sono finite,
A voi tutti l’augurio sommesso
Che l’autunno sia lungo e mite.

16 dicembre 1986


(II vol. delle Opere di Primo Levi, Torino, Einaudi, 1988)

sabato, aprile 23, 2011

Bacio



Bacio che sopporti il peso
della mia anima breve
in te il mondo del mio discorso
diventa suono e paura.

- Alda Merini -

martedì, aprile 12, 2011

Sotto il mistero della "luna rosa"

"You can take the road that takes you to the stars now
I can take a road that'll see me through"
(Nick Drake, "Road")

New York, autunno 2001.
Una ragazza di vent'anni stringe il suo lettore cd portatile mentre si fa largo tra la folla della metropolitana, cercando un angolo libero dove appoggiare lo zaino pieno di libri e barrette di muesli.
Ogni certezza sembra essere andata in frantumi insieme alle macerie di Ground Zero. Reparti della Guardia Nazionale in tenuta mimetica squadrano i ragazzi in coda per un bagel, mentre i volantini pubblicitari reclamizzano maschere antigas e tute anticontaminazione. "Prendere la metro, a quei tempi, era un po' come cercare la morte", ricorda. "Credevo che chiunque portasse uno zaino volesse uccidermi".
Solo la musica nelle sue cuffie le testimonia di avere ancora un cuore che non ha smesso di battere. Il disco è sempre lo stesso, ogni giorno, lungo il tragitto che la porta fino alla Columbia University: "Pink Moon" di Nick Drake. "Era l'unico tra i dischi che avevo in cui riuscissi a trovare ancora un significato. Mi aggrappavo a lui come a una zattera, stringendolo forte e raggomitolandomi sul suo ventre, mentre tutti quelli intorno a me si strafacevano di lavoro, alcool e pasticche nel vano tentativo di dimenticare la visione di corpi umani che cadono da un grattacielo, esplodono in mille pezzi su un aereo, vengono schiacciati da mezzo milione di tonnellate di cemento e acciaio".
Sono passati dieci anni e quella studentessa è diventata una delle firme emergenti del giornalismo musicale americano: Amanda Petrusich, già autrice del fascinoso "It Still Moves", dedicato all'universo dell'Americana. Ma quell'intima simbiosi con la musica di Nick Drake per lei non è cambiata, e il nuovo capitolo della collana "Tracks" di No Reply, incentrato proprio su "Pink Moon", ne è la più vivida delle testimonianze.

Londra, autunno 1971.
È notte fonda ai Sound Techniques, i celebri studi di registrazione ricavati in una vecchia stalla di Chelsea. Un ragazzo dai capelli ondulati e polverosi imbraccia la propria chitarra acustica e comincia a suonare davanti al microfono. Fatica persino ad articolare le parole, ma le sue canzoni hanno una purezza che lascia senza fiato. "I più oscuri e intossicanti ventotto minuti di musica acustica mai incisi su disco", li definisce Amanda Petrusich.
Comincia dalla fine, il suo racconto: dalla morte di Drake tra le pareti austere della sua stanza di Far Leys, la tenuta di famiglia nella campagna del Warwickshire. Ma il ritratto che traccia si distacca subito dai facili stereotipi dell'artista depresso: "è ancora sin troppo facile vedere in quella morte un gesto romantico", scrive. "E così l'intera storia di Drake viene travisata, trasformata in un romanzo lungo e fitto di tormenti, che parla di arte, depressione, giovinezza, vuoto". La tentazione, di fronte alla penuria di tracce lasciate alle proprie spalle negli appena ventisei anni di una vita schiva e introversa, è quella di trasformare Drake in una proiezione di se stessi: come spiega il biografo Patrick Humphries, "Nick Drake diventa una tela bianca su cui gli ammiratori possono dipingere la propria immagine, proiettare la loro vita e i loro problemi, uno specchio in cui vedere il dolore e le promesse non mantenute".
L'unico modo di non tradirlo, allora, è partire dall'unica, autentica memoria che Drake ha voluto lasciare: le sue canzoni. Per farlo, Amanda Petrusich si affida alle voci di alcuni dei più sinceri testimoni della sua eredità: da M. Ward a Damien Jurado, da Lou Barlow a Tim Rutili dei Califone, a fare da contrappunto alla narrazione sono gli interventi di una serie di artisti che rievocano il significato della rivelazione nuda e penetrante di "Pink Moon" nella loro vita.

Non è tanto nella ricostruzione biografica (che pure sfata qualche leggenda, come quella secondo cui Drake avrebbe lasciato senza una parola i nastri di "Pink Moon" alla reception della Island Records) che va ricercato l'interesse del libro. E neppure nell'analisi strettamente musicale del disco, per quanto ricca di dettagli sull'inconfondibile tecnica chitarristica di Drake. Sono piuttosto le vicende della singolare vita post mortem di "Pink Moon" ad attirare l'attenzione di Amanda Petrusich, che racconta la riscoperta di Nick Drake da parte dell'America degli anni Zero. Tutto merito di uno spot realizzato nel 2000 per la Volkswagen dai futuri registi di "Little Miss Sunshine", Jonathan Dayton e Valerie Faris, che aveva come colonna sonora proprio la sognante ode di Drake alla luna rosa: pochi giorni dopo la sua messa in onda, le vendite dell'album raddoppiarono all'istante. È stato l'inizio di un imprevedibile successo postumo, da cui Amanda Petrusich trae spunto per riflettere sull'evoluzione del rapporto tra musica e pubblicità: un passaggio culturale che ha visto tramontare una volta per tutte l'idea secondo cui le canzoni prestate agli spot rappresenterebbero una sorta di "tradimento artistico" e che viene analizzato nelle pagine del libro con l'ausilio delle opinioni di copywriter e registi, oltre che di un profondo conoscitore della scena underground a stelle e strisce come Michael Azerrad (autore della recente retrospettiva "American Indie").
A completare il quadro, l'edizione italiana del volume offre poi il contributo - come sempre attento e appassionato - di Antonio Puglia, che oltre a curare la traduzione del libro firma anche una postfazione dedicata alle sorti di Nick Drake in terra italica. Dal primo lavoro biografico di Luca Ferrari ("Un'anima senza impronte"), risalente alla metà degli anni Ottanta, fino al personalissimo omaggio di Stefano Pistolini ("Le provenienze dell'amore"), Antonio Puglia segue le tracce di Drake non solo tra gli scaffali delle librerie, ma anche al cinema (da Paolo Virzì a Maria Sole Tognazzi) e soprattutto nella musica, dando spazio ai pensieri di cantautori come Roberto Angelini e Fabrizio Cammarata (aka The Second Grace).

Oggi "Pink Moon" mantiene ancora intatto il suo mistero: tutti ricordano il primo ascolto, eppure confessano al tempo stesso di non riuscire a sostenere a lungo quell'intensità. Amanda Petrusich non ha un attimo di esitazione: "Pink Moon è l'unico disco che mi serve. A volte in modo persino disperato". Perché quello di cui abbiamo davvero bisogno è qualcuno che ci mostri chi siamo. Ed è per questo che vale la pena di accettare l'invito di quella studentessa con gli auricolari, seduta di fronte al finestrino della metropolitana, e decidere di dare ancora una volta alla voce di Nick Drake la possibilità di ferirci: "è allora che mi sento grata per la compagnia di tutti quelli che conosco, felice di essere viva, eternamente riconoscente per gli sbuffi d'aria che continuano a passarmi attraverso i polmoni".

Autore: Amanda Petrusich
Titolo: Pink Moon
Editore: No Reply
Pagine: 160
Prezzo: Euro 12,00


(da www.ondarock.it)

lunedì, marzo 21, 2011

EMERGENCY CONDANNA LA GUERRA IN LIBIA



Ancora una volta i governanti hanno scelto la guerra. Oggi la guerra è “contro Gheddafi”: ci viene presentata, ancora una volta, come umanitaria, inevitabile, necessaria.

Nessuna guerra può essere umanitaria. La guerra è sempre stata distruzione di pezzi di umanità, uccisione di nostri simili. “La guerra umanitaria” è la più disgustosa menzogna per giustificare la guerra: ogni guerra è un crimine contro l’umanità.

Nessuna guerra è inevitabile. Le guerre appaiono alla fine inevitabili solo quando non si è fatto nulla per prevenirle. Se i governanti si impegnassero a costruire rapporti di rispetto, di equità, di solidarietà reciproca tra i popoli e gli Stati, se perseguissero politiche di disarmo e di dialogo, le situazioni di crisi potrebbero essere risolte escludendo il ricorso alla forza. Non è stato questo il caso della Libia: i nostri governanti, gli stessi che ora indicano la guerra come necessità, fino a poche settimane fa hanno finanziato, armato e sostenuto il dittatore Gheddafi e le sue continue violazioni dei diritti umani dei propri cittadini e dei migranti che attraversano il Paese.

Nessuna guerra è necessaria. La guerra è sempre una scelta, non una necessità. È la scelta disumana, criminosa e assurda di uccidere, che esalta la violenza, la diffonde, la amplifica. È la scelta dei peggiori tra gli esseri umani.

Ai governanti che vedono la guerra come unica risposta ai problemi del mondo, rivolgiamo di nuovo l’appello del 1955 di Bertrand Russell e Albert Einstein nel loro Manifesto:

«Questo dunque è il problema che vi presentiamo, netto, terribile ed inevitabile: dobbiamo porre fine alla razza umana oppure l'umanità dovrà rinunciare alla guerra?»

Come ha scritto il grande storico statunitense Howard Zinn: «Ricordo Einstein che in risposta ai tentativi di “umanizzare” le regole della guerra disse: “la guerra non si può umanizzare, si può solo abolire”. Questa profonda verità va ribadita continuamente: che queste parole si imprimano nelle nostre menti, che si diffondano ad altri, fino a diventare un mantra ripetuto in tutto il mondo, che il loro suono si faccia assordante e infine sommerga il rumore dei fucili, dei razzi e degli aerei».

Emergency è contro la guerra, contro tutte le guerre. Ce lo impongono la nostra esperienza, la nostra etica e la nostra cultura, la nostra umanità prima ancora che la nostra Costituzione.

Chiediamo che tacciano le armi e che si riprenda il dialogo, anche attraverso l’invio degli ispettori delle Nazioni Unite e di osservatori della comunità internazionale; chiediamo l’apertura immediata di un corridoio umanitario per portare assistenza alla popolazione libica.



Ufficio Stampa e comunicazione
EMERGENCY
Via Vida 11
20127 Milano

domenica, marzo 13, 2011

ANNIVERSARIO


Al tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno,
io ero felice e nessuno era morto.
Nella casa antica, perfino il mio compleanno era una tradizione secolare,
e l’allegria di tutti, e la mia, era giusta come una religione qualsiasi.

Al tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno,
avevo la grande salute di non capire alcunché,
di essere intelligente per quelli della famiglia,
e di non aver le speranze che gli altri avevano in mia vece.
Quando arrivai ad avere speranze, non sapevo più avere speranze.
Quando arrivai a guardare la vita, avevo perso il senso della vita.

Sì, quello che fui di supposto per me stesso,
quello che fui di cuore e famiglia,
quello che fui di veglie di semiprovincia,
quello che fui perché mi amavano e perché ero bambino,
quello che fui – Dio mio!, quello che solo oggi so di essere stato...
Com’è lontano!...
(Nemmeno l’eco...)
Il tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno!

Ciò che oggi sono è come l’umidità nel corridoio in fondo alla casa,
che provoca muffa nelle pareti...
Ciò che oggi sono (e la casa di quelli che mi hanno amato trema attraverso le mie
[lacrime),
ciò che oggi sono è che abbiano venduto la casa,
è che tutti siano morti,
è che io sia sopravvissuto a me stesso come un fiammifero freddo...

Al tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno...
Quale oggetto d’amore è per me quel tempo, come una persona!
Desiderio fisico dell’anima di essere lì un’altra volta,
attraverso un viaggio metafisico e carnale,
con una dualità da me a me...
Mangiare il passato come pane per l’affamato, senza tempo di burro sotto i denti!

Vedo tutto ancora una volta con una nitidezza che mi rende cieco alle cose presenti...
La tavola apparecchiata con dei posti in più, con la porcellana migliore, con dei
[bicchieri in più,
la credenza con molte cose – dolci, frutta, il resto nell’ombra sotto la scansia –,
le vecchie zie, i cugini estranei, e tutto era per me,
al tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno...

Fermati, cuore mio!
Non pensare! Lascia il pensiero alla testa!
Oh mio Dio, mio Dio, mio Dio!
Oggi non compio più gli anni.
Perduro.
I miei giorni si addizionano.
Sarò vecchio quando lo sarò.
Nient’altro.
Rabbia di non aver portato in tasca il passato rubato!

Il tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno!...



15 ottobre 1929



(di Fernando Pessoa, da "Poesie di Álvaro de Campos")

venerdì, marzo 04, 2011

CANTO DEI MORTI INVANO



Sedete e contrattate
A vostra voglia, vecchie volpi argentate.
Vi mureremo in un palazzo splendido
Con cibo, vino, buoni letti e buon fuoco
Purche' trattiate e contrattiate
Le vite dei vostri figli e le vostre.
Che tutta la sapienza del creato
Converga a benedire le vostre menti
E vi guidi nel labirinto.
Ma fuori al freddo vi aspetteremo noi,
L'esercito dei morti invano,
Noi della Marna e di Montecassino
Di Treblinka, di Dresda e di Hiroshima:
E saranno con noi
I lebbrosi e i tracomatosi,
Gli scomparsi di Buenos Aires,
I morti di Cambogia e i morituri d'Etiopia,
I patteggiati di Praga,
Gli esangui di Calcutta,
Gl'innocenti straziati a Bologna.
Guai a voi se uscirete discordi:
Sarete stretti dal nostro abbraccio.
Siamo invincibili perche' siamo i vinti.
Invulnerabili perche' gia' spenti:
Noi ridiamo dei vostri missili.
Sedete e contrattate
Finche' la lingua vi si secchi:
Se dureranno il danno e la vergogna
Vi annegheremo nella nostra putredine.

14 gennaio 1985


[Da Primo Levi, Ad ora incerta, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 615]

domenica, febbraio 20, 2011

Stonehenge è la località turistica più antica del mondo


(da www.ilgiornale.it)

Le ultime scoperte di alcuni archeologi dimostrerebbero, che un ragazzino sepolto nelle vicinanze del cerchio di pietra, circa 3500 anni fa, sarebbe cresciuto lontanissimo dall'Inghilterra. Il giovane sarebbe originario delle sponde del Mediterraneo

Il sito archeologico di Stonehenge potrebbe essere la località «turistica» più antica del mondo. Le ultime scoperte di alcuni archeologi dimostrerebbero, che un ragazzino sepolto nelle vicinanze del cerchio di pietra degli antichi druidi, circa 3500 anni fa, sarebbe cresciuto lontanissimo dall'Inghilterra. Il giovane sarebbe infatti originario di territori molto più a sud, forse addirittura delle sponde del Mediterraneo. Quello del «ragazzo con la collana d'ambra», così è stato soprannominato perché era stato sepolto con un gioiello al collo, non è nemmeno l'unico corpo trovato nei pressi di Stonehenge ad appartenere ad uno straniero.
«L'arciere di Amesbury, un uomo sepolto con un tesoro di rame ed oro la cui tomba è stata rinvenuta nel 2002, sarebbe infatti originario delle Alpi, mentre un gruppo di uomini e donne le cui tombe sono state scavate nel 2003 sarebbero originari del Galles o, addirittura, del nord della Francia». Jane Evans, l'esperta della British Geological Survey che ha identificato la provenienza degli scheletri dell'Età del Bronzo attraverso un'analisi chimica degli isotopi radioattivi presenti nei loro denti, è convinta che queste persone avevano raggiunto le sponde britanniche proprio per recarsi a Stonehenge, in una sorta di primitivo pellegrinaggio.
«Se oggi si va all'abbazia di Westminster e si guarda chi vi è stato sepolto nel corso dei secoli, quanti di questi sono londinesi? Non credo molti, perché sono stati personaggi grandi e famosi a essere sepolti all'abbazia di Westminster... Stonehenge in modo molto simile è stato un luogo di culto importante e persone di origini diverse lo visitarono e vi furono sepolte».
Il «ragazzo con la collana d'ambra» sarebbe arrivato a Stonehenge quando il cerchio di pietra era già molto antico: è stato costruito 1500 anni prima. «Ha circa 14 o 15 anni ed è sepolto con questa bella collana. La posizione della tomba, e il monile indicano che si tratta di una persona di un certo status», ha spiegato la Evans.
La scoperta spinge anche altri archeologi a rivedere la vulgata sugli spostamenti e i viaggi preistorici. «Gli studiosi per moltissimo tempo si sono opposti all'idea che vi fossero migrazioni di qualsiasi tipo in questo periodo. Ma, chiaramente, questi individui hanno viaggiato attraverso distanze enormi», ha dichiarato Mike Pitts, direttore della rivista "British Archeology".

lunedì, febbraio 07, 2011

Io sono certa che nulla più soffocherà la mia rima



Io sono certa che nulla più soffocherà la mia rima,
il silenzio l’ho tenuto chiuso per anni nella gola
come una trappola da sacrificio,
è quindi venuto il momento di cantare
una esequie al passato.


(Alda Merini, da "La Terra Santa")