mercoledì, novembre 04, 2009

Morte ai Druidi...



(Tratto da La Repubblica — 10 ottobre 1989 pagina 32 sezione: CULTURA)

PETERBOROUGH Il paesaggio è piattissimo e senza un albero. Solo ad ovest si leva, azzurra per la lontananza, la bassa collina con la cattedrale di Peterborough, nella contea di Cambridge. Il posto si chiama Flag Fen. Fino a quarant' anni fa era una palude che arrivava al mare, alla costa dell' Anglia. Prima ancora, nei secoli in cui apparteneva all' abbazia di Thorney, era il regno assoluto dell' acqua: nel mezzo della laguna c'era un'isola, e i monaci dell'abbazia, che avevano il diritto di feriagio (pedaggio), traghettavano da una parte all' altra viandanti, pastori, greggi. La terraferma cominciava con la collina di Peterborough. Questa piana, da poco bonificata, ha riservato una grossa sorpresa: l'archeologo Francis Pryor e i suoi collaboratori hanno identificato l'isola situata in mezzo all'antica laguna, scoprendo che era artificiale, essendo formata da milioni di rami di quercia (l'analisi al radiocarbonio l'ha datata a circa tremila anni fa, all'età del bronzo); e scoperta recentissima hanno accertato che là si teneva l'assemblea delle tribù celtiche della Britannia; là, sotto la presidenza del Capo dei Druidi, si dirimevano i conflitti fra le tribù, si amministrava la giustizia, si facevano sacrifici umani in onore degli dei. E' il più grande centro religioso dell' Europa preistorica. Ma scavarlo è stato faticosissimo. Per non deformare il legno imbevuto d'acqua, e perciò soffice come pane fresco, gli archeologi non hanno potuto neanche metter piede sul suolo che scavavano: stavano distesi per terra sull'orlo dello scavo e lavoravano allungando le mani. I lavori sono iniziati dieci anni fa. Dal suolo sbucavano strani pali e, poiché la bonifica stava per seppellire tutto definitivamente, si decise di controllare di che cosa si trattava. Fu trovata una diga sassone e, più in basso, una strada romana che venne facilmente datata: è il territorio dove, nel 60 d.C., divampò la rivolta guidata dalla regina Boudicca. Non appena sedata, per rafforzare il controllo sulla popolazione ostile i Romani costruirono due castra: uno poco lontano da Peterborough (si chiamava Durobrivae), l' altro in vista del mare (se ne ignora il nome); e questa, appunto era la strada militare che li univa. Sotto la strada fu trovata una fittissima rete di pali che sporgevano da una graticciata di rami e di tavole di quercia. Gli archeologi ritennero di trovarsi su un sentiero celtico; anzi, supposero che i Romani lo avessero utilizzato come fondazione della loro strada. Seguirono il sentiero per circa ottanta metri, ma cominciarono ad avere dei dubbi: era troppo largo e troppo elaborato rispetto alla norma. Allora cominciarono a saggiare il terreno tutto intorno: dovunque scavassero, rispuntava la piattaforma di legno. Nell' arco di nove anni riuscirono a stabilire alcuni punti fermi: l'isola di legno era perfettamente rotonda e molto grande; vi si accedeva da una strada che arrivava dritta dalla terraferma e poi l'aggirava completamente; nell'isola sorgeva, sempre in legno, un grande edificio rettangolare. Era una scoperta eccezionale. Ma disorientava gli archeologi: come mai era venuto in mente a uomini preistorici di costruirsi il loro piccolo villaggio con un sistema così costoso? Nella laguna non ci sono mai state querce: che tribù era mai questa, in grado di organizzare lavori che richiedevano centinaia e centinaia di uomini? Non poteva trattarsi di un centro religioso, pensarono, non poteva trattarsi dei Druidi, perché le fonti storiche ne testimoniano l'esistenza solo in un' epoca più tarda. La soluzione è arrivata quest'anno: scavando lungo il margine esterno dell'isola (cioè nell'antica laguna) sono state trovate molte testimonianze di omicidi rituali (uomini sgozzati e animali trapassati da pali appuntiti), nonché grandi quantità di oggetti di bronzo: i tesori che venivano offerti all'Acqua, l'elemento sacro che dà origine alla vita ed è la porta del mondo dei morti. In vista dell'impresa gallica, Cesare studiò a fondo la religione dei Druidi (sarebbe stato un errore fatale se durante gli assedi alle città avesse sbagliato il nome del dio da invocare ad alta voce per indurlo a uscire dalle mura in cambio di un tempio a Roma), e fu il primo a sottolineare il ruolo di primo piano dei Druidi (saggi) nella società celtica. Ad essi era demandata l' educazione dei giovani nobili; e tra questi, solo i pochissimi che avevano un' autentica stoffa di studiosi venivano selezionati per la carriera di sacerdote. Per fare un buon Druido occorrevano venti anni di studio intenso: bisognava imparare a memoria migliaia e migliaia di versi, avere attitudini per l' osservazione delle stelle, per le scienze naturali, per la medicina, per la teologia, per la speculazione sul significato della vita e della morte. I Druidi delle singole tribù eleggevano un capo supremo la cui autorevolezza era tale che nelle riunioni annuali ai re non era consentito prendere la parola se il sommo sacerdote non gliene avesse dato il permesso. E si capisce dice Cesare che qualche volta, quando si doveva eleggere un uomo dotato di tale potere, si scatenasse una lotta furibonda. Ma c'è un'altra osservazione di Cesare che mi spinge a guardare con occhio più interessato questa vasta piana. Cesare afferma che il centro più prestigioso di cultura celtica era in Britannia e che molti Druidi della Gallia vi andavano a soggiornare per perfezionarsi. Era forse qui che venivano? Tra gli antichi è un coro concorde: i Druidi erano uomini di grande cultura e di grande saggezza. E davvero colpisce che in una società guerriera il massimo potere fosse conferito non agli uomini più forti (i re), ma ai più colti, così come colpisce il fatto che il dio più importante non fosse Giove, signore dell' universo, ma Mercurio, inventore di tutti i mestieri e protettore del commercio. Ma il coro è ugualmente concorde nel recriminare: i Druidi compivano riti di efferata crudeltà. A quel che è dato capire, gli omicidi rituali erano basati su due credenze: quando si entrava in guerra (il che accadeva spessissimo), per assicurarsi la vittoria e la vita bisognava offrire agli dei un numero di vittime più o meno uguale alle prevedibili proprie perdite. Questa era però un' operazione che si faceva a credito, nel senso che ci si impegnava solennemente ad offrire la vita dei prigionieri di guerra. E' nota la scena descritta da Strabone: i prigionieri, le mani legate dietro la schiena, venivano consegnati, uno alla volta, a una vecchia scalza che indossava una tunica bianca. Questa li agguantava per i capelli, li trascinava davanti a un calderone e lì, con un colpo di pugnale, gli tagliava di netto la gola. Poi c' era l' iniziativa del singolo. Un giovane nobile in procinto di partire per la guerra poteva garantirsi di uscirne indenne con un solo sistema: facendo morire un altro al suo posto. Seconda credenza: la volontà degli dei poteva leggersi solo nel sangue che scorreva; di qui la necessità di sgozzare esseri umani in continuazione, per tenersi al corrente delle decisioni divine. In genere toccava ai ladri e agli assassini; ma quando questi scarseggiavano, ne andavano di mezzo i bravi ragazzi (ha una faccia da bravo ragazzo lo scannato esposto al British Museum, che, essendo stato trovato nella torba in un antico lago , è rimasto intatto: sembra di cuoio). E' indubbio che i Celti avessero alcune cattive abitudini: tagliavano le teste dei nemici uccisi in battaglia e se le portavano a casa, dove, come fanno i cacciatori con le teste dei cervi e delle renne, le attaccavano alle pareti. Lo scienziato greco Posidonio, che visse a lungo in mezzo ai Celti, racconta che nei primi tempi, quando lo invitavano a entrare in una casa, gli veniva da vomitare. Poi si abituò, e anzi non batté ciglio quando un amico gli volle mostrare il pezzo più prezioso della sua collezione: la testa di un capo, unta di un olio speciale, da lui custodita dentro una cassetta. Ma nell'isola di Flag Fen non si facevano solo sacrifici. La gente che arrivava da ogni parte per le tante feste dei tantissimi dei, voleva anche divertirsi. Accanto al tempio, i fedeli si accampavano nelle tende; mercanti e osti mettevano su i loro banchetti: si mangiava, si suonava, si cantava. E i più applauditi erano i cantastorie. Parte di questi antichissimi canti sono sopravvissuti nel Galles e in Irlanda. Nel poema epico Lebol Gabala i protagonisti sono gli antichissimi dei celti: vi si narra di divinità guerriere che sbarcano nell'isola, bruciano i loro vascelli e danno battaglia agli dei locali. E' una storia piena di stragi e di avventure, anche comiche: come quando il dio Dagda va nel campo avverso per parlamentare, viene invitato al banchetto e si abbuffa talmente da stramazzare al suolo, e i nemici ridono del dio che se ne sta a terra con la pancia gonfia come una montagna. Ma Dagda non è un buffone, è un dio di tutto rispetto: nelle sculture è rappresentato con la ruota del Sole in mano ed è detto il Rosso che tutto vede e tutto sa. Nel poema incontriamo anche la dea Morrigain che in battaglia, quando se la vede brutta, ricorre alle arti magiche: ricomparirà nel Ciclo del Re Artù come Fata Morgana. I Romani, in genere tolleranti verso le religioni altrui, dichiararono guerra senza quartiere ai Druidi, con la giustificazione che era neccessario porre fine agli omicidi rituali; in realtà, per distruggere i focolai della resistenza. Il santuario di Flag Fen fu così raso al suolo subito dopo la ribellione di Boudicca: la strada militare ci passò sopra e, dai due castra, i legionari facevano buona guardia. Da allora non ci furono più Druidi, ma solo stregoni, maghi e una grande abbondanza di streghe. - di CLARA VALENZIANO

2 commenti:

Buldro ha detto...

Bellissimo articolo!Trasuda saggezza e tradizioni dimenticate,che anche oggi potrebbero rendere il mondo migliore, a parte il collezionare teste umane in casa!Ciao
Teo

Druido Lòmion Aldaron ha detto...

hahaha.. hai ragione.. ma se consideriamo che molti ricchi nababbi hanno teste di animali in salotto.. beh.. io ci metterei anche qlc testa umana accanto.. e non faccio nomi.. ciao, g