mercoledì, aprile 28, 2010

Nessuno, assolutamente nessuno



All'improvviso oggi ho dentro una sensazione assurda e giusta. Ho capito, con una illuminazione segreta, di non essere nessuno. Nessuno, assolutamente nessuno. Nel balenio del lampo quella che avevo creduto essere una città era una radura deserta; e la luce sinistra che mi ha mostrato me stesso non ha rivelato nessun cielo sopra di essa. Sono stato derubato dal poter esistere prima che esistesse il mondo. Se sono stato costretto a reincarnarmi, mi sono reincarnato senza di me, senza essermi reincarnato.
Io sono la periferia di una città inesistente, la chiosa prolissa di un libro non scritto. Non sono nessuno, nessuno. Non so sentire, non so pensare, non so volere. Sono una figura di un romanzo ancora da scrivere, che passa aerea e sfaldata senza aver avuto una realtà, fra i sogni di chi non ha saputo completarmi.
Penso in continuazione, sento in continuazione; ma il mio pensiero è privo di raziocinio, la mia emozione è priva di emozione! Da una botola situata lassù, sto precipitando per lo spazio infinito, in una caduta senza direzione, infinitupla e vuota. La mia anima è un maelstrom nero, una vasta vertigine intorno al vuoto, un movimento di un oceano senza confini intorno ad un buco del nulla, e, nelle acque, che più che acque sono turbini, galleggiano le immagini di ciò che ho visto e scritto nel mondo: vorticano case, volti, libri, casse, echi di musiche e spezzoni di voci in un turbine sinistro e senza fondo. E io, proprio io, sono il centro che esiste soltanto per una geometria dell'abisso; sono il nulla intorno a cui questo movimento gira, come fine a se stesso, con quel centro che esiste solo perchè ogni cerchio deve possedere un centro. lo, proprio io, sono il pozzo senza pareti ma con la resistenza delle pareti, il centro del tutto con il nulla intorno.
E in me è come se l'inferno ridesse, senza neppure l'umanità di diavoli che ridono, la follia starnazzante dell'universo morto, il cadavere girante dello spazio fisico, la fine di tutti mondi che fluttua oscuramente al vento, disforme, fuori del tempo, senza un Dio che l'abbia creata, senza neppure se stessa che sta girando nelle tenebre delle tenebre, impossibile, unica, tutto.
Poter saper pensare! poter saper sentire!
Mia madre è morta molto presto, ed io non l' ho conosciuta...
Fin dal primo mattino, a dispetto della consuetudine solare di questa città chiara, un manto leggero di nebbia, indorato a poco a poco dal sole, avvolgeva la successione delle case, la mancanza di soluzione degli spazi, i dislivelli del terreno e degli edifici. Poi, al sopraggiungere del mattino pieno, la bruma leggera ha cominciato a sfilacciarsi e a dissolversi in maniera indefinibile con aliti di ombre di veli. Verso le dieci, soltanto l'azzurro torbido del cielo rivelava il passaggio della nebbia.
Con la caduta della maschera offuscante, il volto della città è risorto: come se una finestra si spalancasse, il giorno già alto si è alzato. Si è verificato un leggero cambiamento nel rumore di ogni cosa. Poi altri rumori si sono levati. Un'intonazione di azzurro si è insinuata persino nelle pietre delle strade e nell'aura impersonale dei passanti. Il sole era caldo, ma di un caldo ancora umido. La nebbia ormai inesistente lo filtrava in modo invisibile. Lo svegliarsi di una città, che avvenga con la nebbia o altrimenti, per me è sempre più commovente dello spuntare del giorno in campagna. Ci sono molte più cose che tornano alla vita, ci sono molte più cose da aspettarsi quando il sole, invece di limitarsi a indorare (prima di luce scura, poi di luce umida, infine di oro luminoso) i prati, le sporgenze degli arbusti, le palme delle mani delle foglie, moltiplica i suoi possibili effetti sulle finestre, sui muri, sui tetti [...]
Un'aurora in campagna mi fa star bene; un'aurora in città mi fa star bene e male, e perciò mi fa star meglio. Si, perchè la maggiore speranza che mi arreca possiede, come tutte le speranze, il sapore lontano e nostalgico di non essere realtà. Un mattino in campagna esiste; un mattino in città promette; il primo fa vivere; il secondo fa pensare. E io sentirò sempre, come i grandi maledetti, che è meglio pensare che vivere.

(da "IL LIBRO DELL'INQUIETUDINE DI BERNARDO SOARES", Fernando Pessoa)

3 commenti:

Krunkas ha detto...

Sono arrivato a leggere fino a dove Soares da la propia descrizione del romanticismo .Di sicuro non è un libro da "bere tutto d'un fiato" dato che, fino ad adesso , non ha accennato agli aspetti positivi riguardo alla vita ... Neanche una volta .

Druido Lòmion Aldaron ha detto...

Beh.. credo di non rovinarti più di tanto la sorpresa se ti confesso che neanche nelle prossime pagine troverai pensieri particolarmente positivi sulla vita in genere.. del resto Soares (e quindi Pessoa..) ha fatto del pessimismo (o se vogliamo dell'inquietudine..) l'elemento costante della propria esistenza letteraria ed umana.. in ogni caso credo sia importante per tutti sperimentare e approfondire anche le sfaccettature più recondite e oscure della mente se non altro per potersi conoscere meglio e per apprezzare poi di più gli aspetti positivi.. in effetti ognuno di noi ogni tanto si è trovato almeno in parziale sintonia con gli estremi stati d'animo descritti nel famigerato libro.. o no..? e quindi tutti abbiamo un lato oscuro, il fatto è che Pessoa tende a mettere in risalto quasi sempre quello.. evidentemente non aveva una grande speranza nella vita e nel futuro.. e infatti scriveva "Se dopo la mia morte volessero scrivere la mia biografia, non c'è niente di più semplice. Ci sono solo due date – quella della mia nascita e quella della mia morte.
Tutti i giorni fra l'una e l'altra sono miei." ciao, sciocco! la via per diventare druido è ancora molto lunga e impervia per te.. ma questo libro ti aprirà di certo nuovi orizzonti..

Krunkas ha detto...

Lungi da me l'idea di diventare druido ! comunque ottime osservazioni , vedrò di uscire da questo pozzo di inquietudine con un bagaglio di conoscenza .
Un saluto ricco di ottimismo ... Janni !