di: Alvise Losi
Neil Young si è esibito in concerto a Lucca regalando a tutti i
presenti una performance da ricordare a lungo. Ecco la recensione dello
spettacolo.
Lucca, Piazza Napoleone, 25 luglio 2013. Dio esiste. È canadese. E si chiama Neil Young.
Nessuno si offenda, non si vuole essere blasfemi. Impossibile però
trovare parole o paragoni sufficienti a rendere giustizia al concerto
del cantante in piazza Napoleone a Lucca. L’esibizione andata in scena
non era di un uomo, ma di un essere sovrannaturale. Un dio della musica
che ha deciso di mostrarsi ai comuni mortali e condividere un momento
di pura estasi con i pellegrini arrivati di fronte a lui. La voce,
assolutamente integra, è quella di un tempo. A sorprendere ancora di
più però sono le qualità del Young musicista. Si dimostra una volta di
più, per chi non lo conoscesse in queste vesti, uno dei migliori chitarristi
della storia del rock. Assoli formidabili e di ogni tipo hanno
accompagnato quasi tutte le canzoni suonate nelle due ore e venti di
concerto. A prescindere dalla lunghezza e dal virtuosismo, a stupire è
la capacità di rendere il tutto perfettamente omogeneo. Il vecchio Neil
(classe ’45) arriva ad allungare alcuni brani oltre i dieci minuti,
senza che nessuno dei presenti distolga sguardo e orecchie neppure per
un istante. Mai una nota è sembrata fine a se stessa.
C’è poi un altro motivo che spinge a credere nel soprannaturale
parlando di Neil Young. Il tempo non solo si è fermato, come capita per i
migliori concerti, ma per qualche minuto si è aperto un varco
spazio-temporale e tutto il pubblico si è trovato catapultato alla fine
degli anni Sessanta. È successo durante l’assolo di Walk Like A Giant, con il cantante canadese a giocare con gli amplificatori e la sua chitarra per creare effetti di risonanza sorprendenti. È andata avanti così tutta la prima ora, tra qualche pezzo del nuovo bellissimo album e capolavori come Powderfinger. Poi, usciti i Crazy Horse
(Frank «Poncho» Sampedro alla chitarra, Billy Talbot al basso e Ralph
Molina alla batteria), compagni di avventura di una vita e ulteriore
pezzo di storia della musica, è stato il turno di quattro canzoni acustiche con chitarra e armonica a bocca, tra le quali un’immensa Heart Of Gold e una cover d’eccezione di Blowin’ In The Wind. Poi, con il gruppo, il Nostro si sposta al piano per Singer Without A Song, prima di imbracciare di nuovo la chitarra elettrica.
È lei la grande compagna di Neil. Ed è sempre lei la protagonista dell’assolo forse migliore tra i tanti stupendi, quello di Fuckin’ Up (perla di un repertorio che spazia dagli inizi all’ultimo album Psychedelic Pill).
È qui che un aspetto diventa chiaro: il concerto di Lucca è qualcosa di
superiore a qualsiasi possibile categorizzazione. È stato come sentire
suonare per la prima volta. L’esibizione di Neil Young è stata una reale
epifania, un disvelamento di cosa sia davvero il rock ‘n’ roll.
Di cosa sia stato a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta nel suo
momento migliore e più puro, di massima perfezione. E di cosa possa
ancora essere. È la sublimazione stessa dell’idea di
rock. La perfezione della forma unita alla potenza di una band che ne ha
vissute tante e tante cose ancora ne sa raccontare. Verso la fine, a
tratti, spunta anche qualche sorriso e cenno d’intesa tra Sampedro e
Young. Si stanno divertendo e si sente. E così dal cappello escono, oltre alle prevedibili Mr. Soul (dei Buffalo Springfield, con un riff che ricorda molto Satisfaction dei Rolling Stones) e Cinnamon Girl, anche rarità come Surfer Joe And Moe The Sleaze. La chiusura è con Roll Another Number e Everybody Knows This Is Nowhere. Un viaggio negli ultimi cinquant’anni di rock.
Ecco insomma perché Neil Young è un dio, se non il dio, della musica. Perché sa suonare e sa cantare al massimo livello e soprattutto sa trasmettere emozioni. Perché lo fa a quasi settant’anni con alle spalle una vita non proprio morigerata e un aneurisma che sembra non avere lasciato il minimo segno. Perché non ha bisogno di parlare durante il concerto per instaurare un dialogo con il pubblico, a farlo sono la sua chitarra e le sue canzoni. Perché è un immortale, uno dei pochi a essere sopravvissuto alla fine degli anni Sessanta e ad essere arrivato ad oggi in piena forma.
Non chiamatelo dio a voce alta, se vi dà fastidio, ma le parole
leggenda, mito o gigante non si avvicinano neppure lontanamente a
spiegare chi sia Neil Young.
(articolo tratto da http://www.onstageweb.com)